mercoledì 23 febbraio 2011

Sfide. Le Terre Rare

(di Silvia D'Ovidio)

Il protezionismo della Cina manda in tilt le diplomazie di mezzo mondo. A rischio la sostenibilità ambientale e la crescita globale dei prossimi anni.

La lotta al cambiamento climatico e la politica della green economy affrontano in questi mesi l’ennesima sfida proveniente dalla Repubblica Popolare cinese dopo l’annuncio di Pechino, nello scorso mese di ottobre, di un drastico taglio alle esportazioni di terre rare per il primo semestre del 2011. Le terre rare, ovvero una serie di 17 elementi chimici estratti da diversi minerali presenti nella crosta terrestre, sono materie prime insostituibili per motori ibridi, applicazioni tecnologiche a basso consumo, pannelli fotovoltaici e turbine eoliche.

Dal momento che la maggior parte delle riserve naturali di terre rare è concentrato in Cina, che detiene anche il 97% della produzione mondiale, il colosso cinese sfrutta la situazione di vantaggio puntando dritto al taglio delle esportazioni ed ha già bloccato, per oltre un mese, il commercio con il Giappone. La giustificazione? Dalle parti di Pechino dicono che la scelta è motivata dall’elevato impatto ambientale derivante dall’estrazione di tali elementi. L’annuncio dello stop all’export, stimato intorno al 30% previsto per il primo semestre del 2011 (che segue a quello di circa il 70% imposto nella seconda metà del 2010), ha immediatamente fatto il giro delle cancellerie internazionali, mettendo in moto la rete diplomatica da Tokyo a Washington, da Bruxelles a Berlino, a tutela degli interessi governativi e industriali delle principali economie del mondo.

Esiste un crescente e sostanziale rischio che, senza un adeguato approvvigionamento e accesso aperto a tali elementi, gli sforzi globali volti alla lotta al cambiamento climatico, alla promozione dell’innovazione e alla crescita globale siano fortemente ostacolati”. Queste le parole di circa 40 Associazioni industriali (tra cui la National Association of Manufacturers, la Camera di commercio americana, l'American Petroleum Institute, le Confindustrie tedesca, francese, e giapponese) relativamente alla problematica delle terre rare e della loro concentrazione monopolistica in Cina.

Le terre rare per l’industria green sono fondamentali e la Cina sembrerebbe spinta da motivazioni di carattere politico e non ambientale. Ma questa scelta rischia di avere un impatto fortemente negativo per i settori produttivi verdi che dipendono quasi totalmente dall'approvvigionamento dei preziosi materiali. Un esempio tra tutti, il disperato tentativo da parte della Toyota di sollevare il caso. Nei motori ibridi, l'utilizzo del disprosio (terra rara) consente di ridurre significativamente il peso dei magneti dei motori elettrici. Senza la disponibilità di terre rare i modelli ibridi di Toyota e Honda sarebbero facilmente scalzati da vetture prodotte in Cina.

Non è stato solo il Giappone a fornire una concreta risposta alla questione cinese. Il Dipartimento statunitense per l'Energia (DoE), ha pubblicato un rapporto sulla strategia per i materiali critici, incluse le terre rare. Tale studio evidenzia, con apprensione, i rischi legati all'approvvigionamento degli elementi necessari alla produzione di tecnologie fondamentali per la green economy. Il pragmatismo d’oltreoceano è dimostrato dalla presentazione di proposte operative di breve e medio periodo: 1. Diversificazione delle fonti di approvvigionamento nel mondo; 2. Lo sviluppo di materiali e tecnologie sostitutive, attraverso ingenti investimenti in ricerca e sviluppo; 3. Promozione dell’efficienza e del riciclo dei materiali.

La decisione di Pechino – che a molti appare come un ricatto politico – deriva anche da una supremazia conclamata della Cina nel campo delle rinnovabili. Nell’ultimo rapporto della Società di consulenza Ernst & Young, la Cina detiene il primato mondiale di attrattività degli investimenti in tecnologie verdi. Nel 1997, inoltre, Deng Xiaoping dichiarava che “China would be, for rare earth metals, what the Middle East was for oil”.

La minore disponibilità di terre rare potrebbe indurre le industrie estere a trasferire le loro produzioni in Cina, facilitando il trasferimento tecnologico e del know how necessari all’affermazione di una Potenza Verde, ovviamente a scapito dei tessuti industriali esteri.

E l’Italia? Il nostro Paese non ha ancora una posizione a livello bilaterale ma soltanto come Stato membro dell’Unione europea. Bruxelles intende seguire da vicino la questione puntando su una strategia di riciclo delle terre rare, al fine di diminuire la dipendenza da tali elementi. Nel corso di una audizione pubblica svoltasi presso il Parlamento europeo lo scorso 26 gennaio, alcuni esperti del settore hanno mostrato le loro preoccupazioni al riguardo, proponendo un’imponente opera di riciclaggio dei materiali e una vigorosa diversificazione delle fonti di approvvigionamento.

Non è, insomma, un mistero che Pechino voglia affermarsi come leader mondiale per l’industria verde, pur rappresentando uno dei maggiori inquinatori al mondo. La politica industriale cinese è sempre più aggressiva e volta al consolidamento del settore nel suo complesso, attraverso imponenti trasferimenti tecnologici. D’altronde, la posizione del gigante cinese in seno alle negoziazioni internazionali sul clima parla chiaro: nessun tetto alle emissioni di CO2, trasferimento di tecnologie green in favore delle economie emergenti e controllo della filiera industriale.

Per approfondire:

• posizione Commissione Europea

http://trade.ec.europa.eu/doclib/press/index.cfm?id=481


• editoriale del NYT

http://www.nytimes.com/2010/12/29/business/global/29rare.html?ref=global

http://www.nytimes.com/2010/11/05/business/global/05rarechina.html?_r=1&adxnnl=1&adxnnlx=1296474248-qX0YO8dpKp7rzZvWQnpbkQ


• strategia statunitense (Documento del Department of Energy)


http://www.energy.gov/news/documents/criticalmaterialsstrategy.pdf


• strategia giapponese (Piano di stimolo)


http://www.economist.com/node/17967046